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5 Agosto 2020
Una moltitudine di studiosi europei e americani concorda su come il 2020 possa essere definito l’anno del vocal media marketing. Certo, la voce non è mai passata del tutto di moda. Ma, al di là di questioni storiche e semiotiche sul sonoro, le ultime novità del mercato mediale tratteggiano una sensibile evoluzione.
Fino a qualche mese fa (o anno, a seconda dell’analisi), la stragrande maggioranza dei comuni device proponeva un’esperienza esclusivamente Touch&Swipe. Basta pensare alle normali app per smartphone o tablet, agli e-reader, ecc. Ora invece sembra trovare sempre più spazio un approccio #VoiceFirst.
Citare qualche esempio è semplice. Chi non conosce le piattaforme di audio streaming (Spotify in primis)? Chi non ha mai visto un video su Tik Tok? Chi non ha mai toccato uno smart speaker (Amazon Alexa, Google home, Siri)? O chi non ha mai mandato un messaggio vocale su WhatsApp?
Sì, l’audio domination revolution nasce e si sviluppa esattamente così. Come suggerito poco fa, prendiamo in considerazione Tik Tok. Quando ha iniziato a far breccia tra gli utenti, gli altri social network consentivano (di default) la visualizzazione dei video senza audio. A tal punto che i producer erano chiamati a inserire sottotitoli per rendere i video appealing già nei feed di Facebook et similia. Al contrario, i contenuti di Tik Tok sono sempre stati proposti con l’audio attivo, in virtù dell’importanza che musica e voci hanno nello storytelling del video: un po’ come se si cercasse una forma più piena e appagante di entertainment. Ecco, forse l’idea non è stata così malsana: Tik Tok è l’app più scaricata al mondo, conta 1,5 trilioni di views mensili e spopola tra i giovani nella fascia 16-24 anni (dati dicembre 2019).
E i messaggi vocali su WhatsApp di cui facevamo cenno? Giusto per dare la tara alla loro importanza, il sistema di voice messaging è stato integrato in quasi tutti i servizi di messaggistica. Perfino Twitter sta sperimentando i cinguettii vocali.
Per non parlare dei podcast, altro trending topic dell’ultimo periodo. Nel 2018, il mercato dei soli Podcast ads valeva 479 milioni di euro. Tale cifra ha goduto di un rialzo del 53% nel corso del 2019 e si prevede che basteranno altri due anni per tagliare il traguardo del miliardo di euro. In Italia, i temi più affrontati nei podcast sono business, società e cultura, news, tempo libero e calcio. Insomma, ce n’è per tutti i gusti e su Apple Podcasts (per citare una piattaforma) non manca proprio niente.
Il successo di questo prodotto ha ispirato anche diverse marche e aziende, che si stanno lanciando in operazioni di Branded Podcast: si va dalla sitcom di intrattenimento all’attività informatica, dall’intervista al documentario, dall’uso di un influencer al collage di voci. Ciò che conta è sfruttare questo fortunato media di comunicazione chiamato “podcast” per raggiungere nuovi target, offrendo prodotti branded nella dinamica esperienziale che più apprezzano. Proprio come hanno fatto Mini (per Mini Electric) o RedBull (con i podcast del formidabile Giorgio Terruzzi).
In conclusione, il vocal media marketing ha proprio il sapore di futuro vincente. L’impulso vocale è il nuovo territorio di comunicazione tra utenti, dispositivi e brand. Addirittura è/sarà possibile riconoscere un brand in una voce o in un suono: l’effervescenza di Coca-Cola, il rombo Harley Davidson, il “crock” delle patatine.
Per quanto riguarda i brand, emergerà tuttavia solo chi saprà inserire le azioni di vocal media marketing in una strategia olistica e coerente. Un approccio strategico globale permette ai branded podcast di riflettere con efficacia le brand values e di integrarsi nell’insieme dei vari touchpoint. L’avvenire è molto più cross-channel di quanto si pensi.
Paolo Romiti
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