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Breve storia del manifesto pubblicitario, antesignano del banner

28 Maggio 2020

Il lockdown non solo ha cambiato le nostre vite, ma anche il volto delle nostre città. Poca gente in giro, traffico automobilistico ridotto, negozi chiusi. C’è però un particolare che forse è sfuggito ai più: la maggior parte degli spazi per le affissioni pubblicitarie non viene più utilizzato. Senza più occhi in grado di osservarle, le aziende hanno deciso di non investire per il momento nella cosiddetta cartellonistica.

Un duro colpo per uno strumento pubblicitario (ultimamente forse un po’ snobbato da clienti e addetti ai lavori) che è il mezzo di propaganda più antico. Già nel 1700, infatti, occupavano la quarta pagina dei quotidiani e, inizialmente, venivano pubblicati a titolo gratuito. Solo dalla seconda metà del secolo se ne intuisce l’importanza e viene imposto un pagamento per la pubblicazione.

Essendo realizzati da pittori, assumono ben presto una grande valenza artistica oltre che funzionale alla promozione di articoli di ogni genere. A fine ’800, nelle grandi città come Parigi e Londra, la frizzante aria della rivoluzione industriale coinvolge tutti; artisti ed editori non possono non lasciarsi contagiare dalla moda del momento.

Le nobili arti visive cominciano dunque a mescolarsi all’editoria di largo consumo, diventando a poco a poco un fenomeno destinato a entrare nelle case e nelle menti di tutti. Agli inizi del ’900, gli effetti della seconda rivoluzione industriale coinvolgono tanto il mercato e l’industria quanto il modo che il pubblico ha di percepire queste due entità.

È proprio in questo periodo (nel 1912 nasce a Londra la prima agenzia pubblicitaria della storia) che si pensa sempre più alla compravendita in termini di marketing, in modo sempre più simile a quanto facciamo oggi. Si inizia così a prestare maggiore attenzione alla psicologia del consumatore. I marchi tendono a costruire la loro identità di mercato, dapprima solo con gli slogan e, successivamente, abbinando lo stesso slogan alle immagini.

È pero negli anni Cinquanta che la cartellonistica vive il suo boom, complice il periodo di rinascita che nell’immediato dopoguerra si respira in tutto il mondo. In questo scenario, che vede la ricostruzione del nostro Paese con il passaggio dall’agricoltura all’industria, la réclame e i manifesti pubblicitari in particolare vengono finalmente presi sul serio anche dalla comunità intellettuale.

Le rappresentazioni della realtà proposte dai pubblicitari tramite i manifesti degli anni Sessanta diventano ora un riferimento cardine per il pubblico: la pubblicità ormai anticipa i bisogni dei suoi consumatori proponendo loro nuovi desideri e nuovi modelli nei quali identificarsi. È proprio in questo periodo che si diffondono le prime ricerche di mercato.

Con l’avvento degli anni Settanta e Ottanta, i manifesti pubblicitari si fanno dissacranti e provocatori, l’utilizzo della fotografia sostituisce in gran parte le immagini iconiche utilizzate fino a ora e centrali diventano le campagne su tematiche sociali che siano in grado di smuovere le emozioni dell’utente medio.

Oggi, nonostante l’avvento di Internet e dei social media, il manifesto mantiene e difende un’importanza strategica non indifferente. Si stima, infatti, che questo settore della stampa, che mantiene una valenza indubbiamente importante per il mondo dell’advertising sfidando anche i crescenti investimenti sulla pubblicità sul web, avrà un grande futuro. Alla faccia di banner e pop-up!

di Alessandro Borgomaneri_Senior Copywriter

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