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Netflix, social e molto altro: tutti i lati del successo di The Last Dance

28 Maggio 2020

Per un appassionato di basket, è stato come avere 10 anni e ottenere un premium pass illimitato a DisneyWorld. Per gli amanti delle serie tv, è stato l’appuntamento dell’anno (per alcuni, anche di più). Per i professionisti della comunicazione, è stato un mix di real-time marketing, branded content a dir poco clamoroso e pianificazione da capogiro.

All’interno di una quarantena pandemica a tratti estenuante, l’appuntamento con la docu-serie The Last Dance ha risollevato l’umore di milioni di spettatori. Ma andiamo con ordine.

Per chi ancora non lo sapesse (davvero?!), The Last Dance è un documentario prodotto da ESPN sulla stagione NBA 1997/98 dei Chicago Bulls. E, ovviamente, di Michael Jordan. Per intenderci, quella che consacrò il #23 a icona immortale del basket, dello sport e di qualsiasi attività umana abbia a che fare con il concetto di competizione.

Niente male come trama su cui lavorare, insomma. In particolare, se si considerano le 10.000 ore di filmato originale su cui il regista Jason Hehir e il suo staff hanno lavorato. Aggiungendoci poi svariate interviste ai protagonisti dell’epopea-Jordan negli anni ‘90. Sullo schermo hanno così trovato spazio un centinaio personaggi mitologici per i fan NBA di ogni latitudine: ovviamente MJ, l’allenatore-zen Jackson, l’odiato GM Krause, il Robin del basket (anzi, il più Robin di tutti i tempi) Pippen, il caleidoscopico Rodman, Magic Johnson, Larry Bird, una grande fetta del Dream Team, eccetera. Un enorme, gigantesco eccetera, comprensivo perfino di due ex inquilini della Casa Bianca come Obama e Clinton.

E ora arriviamo alla messa in onda.

Già da tempo, Netflix si era assicurata i diritti di The Last Dance, garantendosi l’esclusiva distribuzione della serie fuori dai confini USA. I comunicati della piattaforma a riguardo, a cavallo tra il 2019 e il 2020, avevano annunciato l’inizio della messa in onda durante l’estate. Come da manuale del cinema, ecco che arriva però il turning point: tra febbraio e marzo 2020, anche gli Stati Uniti vengono duramente colpiti dal Covid-19. La NBA si ferma fino a data da destinarsi e, in pochi giorni, la maggior parte degli NBA-addicted è già in crisi d’astinenza dalla palla a spicchi.

Ecco che l’attenzione della fanbase (in primis, online) si focalizza subito su The Last Dance. Su ESPN e Netflix iniziano a piovere richieste per una pubblicazione anticipata degli episodi: alla schiera si uniscono perfino LeBron James (una voce discretamente pesante) e una gran percentuale dei VIP e degli atleti NBA. Per farla breve, ESPN e Netflix colgono al volo l’occasione. La quarantena semi-globale vincola miliardi di persone al divano e l’occasione commerciale è lì a portata di mano.

Preghiere esaudite. The Last Dance viene lanciata su Netflix nella notte italiana tra il 19 e il 20 aprile 2020. O, per dirla meglio, a essere lanciati sono i primi 2 episodi della serie (50 minuti ciascuno) su 10 totali: ogni settimana, su Netflix ne compare un altro paio. Ergo, il pass free che Netflix offre per il primo mese di visione non basta a coprire l’intera pubblicazione delle puntate. Non sono ancora stati diffusi i dati sul numero di nuove sottoscrizioni a Netflix nel periodo aprile-maggio 2020; ma ci sono pochi dubbi sul fatto che il probabile grande numero di fianco al segno “+” sarà strettamente imparentato con The Last Dance.

Perlomeno, l’ipotesi sembra valida se si considerano i numeri ufficiali già rilasciati o visibili online. La serie sui Bulls 1997/98 ha registrato quasi 23,8 milioni di viewer a livello globale. Ah, scusate: escludendo l’audience USA, dove il solo primo episodio ha catturato 6,3 milioni di spettatori. Va considerato che il precedente record di viewer per un documentario ESPN era fermo a 3,6 milioni.

Non solo. Da oltre un mese, The Last Dance è ai primi posti dei contenuti più visti su Netflix Italia. Lo stesso vale per svariati altri Paesi. Ciò che più impressiona, però, è il buzz mediatico che si è creato attorno alla serie. Certo, nessuno si aspettava potesse passare in sordina. Ma l’aver letteralmente sconvolto il mondo social (soprattutto al di là dell’Atlantico) ha stupito anche gli analisti più positivi nelle proprie previsioni.

A causa del coronavirus, guardare The Last Dance si è trasformato in un modello di rito collettivo intercontinentale sui social media: al pari dell’ultimo episodio di Game of Thrones, giusto per fare un esempio. Dato l’ascendente soprattutto sugli spettatori USA, ecco che Twitter (social molto più in voga in quell’area rispetto al panorama italiano) è metaforicamente esploso.

Solo per l’uscita degli ultimi due episodi, innumerevoli giocatori NBA, tifosi, spettatori generici e addetti ai lavori hanno postato 1,5 milioni di tweet nel giro di una notte; per un buzz totale relativo alla serie di 11 milioni di tweet (dato valido fino al 21 maggio 2020, circa). 20 dei 30 trending topic cinguettati riguardano così The Last Dance, con cinque ex-player che schizzano tra i most-mentioned online: Jordan (e chi se no?), LeBron James (il suo alter-ego moderno), Kobe Bryant, Scottie Pippen e Dennis Rodman.

Nella settimana in attesa dei capitoli finali, l’hashtag #thelastdance ha decorato oltre 600.000 tweet. Un numero che ben si accoppia all’81% di sentiment positivo, registrato da Sprout Social. Finanche i brand legati alla serie (Gatorade, Nike o State Farm) hanno goduto di un’impennata di interazioni sui social.

In conclusione, cos’è stato The Last Dance? Un galattico successo mediatico sul più grande successo sportivo della storia del basket. Abbiamo esagerato con la parola “successo”? Scusate, ma stiamo pur sempre parlando di MJ.

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