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29 Marzo 2022
Lo “spamming” è l’invio indiscriminato, senza il consenso del destinatario, di messaggi di posta elettronica, i cui indirizzi sono stati raccolti attingendo molto spesso ai contatti pubblicati in chiaro sugli account personali degli utenti.
Ma se i contatti sono pubblici perché non possono essere utilizzati per comunicare con le persone?
Questa domanda mette in luce il controverso rapporto tra libertà individuali e obiettivi delle piattaforme social. Per quanto riguarda LinkedIn le finalità sono molto chiare: “scambiare contatti ai fini di fornire opportunità di lavoro”.
Questo non prevede dunque il contattare altri utenti con lo scopo di vendere loro prodotti o servizi, anche se questa può rivelarsi un’opportunità per la propria attività lavorativa. Prendiamo ad esempio il caso, recentemente avvenuto, della piccola agenzia immobiliare che offriva i propri servizi alla proprietaria di un immobile usando le informazioni presenti su LinkedIn.
Un semplice tentativo di creare una relazione, oppure una vendita di servizio?
Come visto, su questa piattaforma qualsiasi attività di spamming è illecita a prescindere dai principi di opt in e opt out. Ciò significa che l’aver ammesso un soggetto nella nostra rete di contatti, previa sua esplicita richiesta, non gli consente di indirizzare nei nostri confronti attività di spamming. LinkedIn, come tutti i social, serve per connettere le persone e creare relazioni, che potranno sì, in futuro, concludersi (e continuare) con una vendita, ma che devono iniziare nel pieno rispetto dell’utente. Andare su LinkedIn per vendere, infatti, non è relazione: è spam.
Attenzione dunque: su LinkedIn il social spamming è vietato dalla policy aziendale, ma ciò non vale per lo spamming autorizzato. Ovvero?
Vieni a scoprirlo al prossimo webinar.
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