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5 Agosto 2020
Chiara Ferragni ha realizzato un photoshoot nelle Gallerie degli Uffizi per Vogue Hong Kong e, visitandone le opere, si è concessa un banalissimo selfie davanti alla Venere di Botticelli. Proprio come milioni di altri turisti. Certo, il social media manager degli @uffizigalleries ha acceso un fuoco di paglia paragonando la blonde salad alla Simonetta Vespucci di Botticelli e definendola «divinità contemporanea nell’era dei social».
Un po’ ci si poteva aspettare il pandemonio immediatamente scatenato dai numerosissimi e notoriamente agguerritissimi haters della Ferragni. E, guarda caso, il post in questione ha guadagnato 37.300 like (rispetto a una media di 6.000) e 3.561 commenti (contro una media di 50). In un paio di giorni, i followers del canale Instagram degli Uffizi sono aumentati di circa 11.000 unità e il caso è stato discusso e chiacchierato su ogni media.
Ma qual è la vera questione? Se sia giusto o meno utilizzare i tanto disdegnati influencer per promuovere la cosiddetta cultura alta. Che poi, non è neanche andata esattamente così: Chiara Ferragni era lì per altro, non ha ricevuto un euro dagli Uffizi.
Sui social si è discusso animatamente di cultura alta e bassa, di influencer e divinità, di com’era vestita lei e del perché non andasse “a lavorare”. Ma sta di fatto che, nel weekend successivo alla visita della bionda divinità contemporanea, agli Uffizi è stato registrato un aumento del 24% di visite rispetto al fine settimana precedente. 9.312 visitatori tra venerdì 17, sabato 18 e domenica 19 luglio, anziché i 7.511 turisti del periodo di confronto.
Difficile stabilire se tra le ragioni dell’impennata ci sia effettivamente il famoso post da circa 37.000 like. Per il direttore Eike Schmidt non ci sono dubbi: è “effetto Ferragnez”. E l’aumento consistente degli under 25 tra i visitatori di quel weekend in effetti fa sospettare: 3.600 contro i 2.839 della settimana precedente (+27%).
Insomma, hater a parte, la questione centrale è un’altra: i musei utilizzano i social come potrebbero? Sicuramente, nei mesi di chiusura per l’emergenza Covid-19 si è registrata una rapida e generosa iperproduzione di contenuti digitali, che (nella sua improvvisazione) ha mostrato tutto il nostro ritardo in questo campo. Secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali solo il 13% dei musei italiani è presente nei tre canali social più diffusi: il 51% ha una Pagina Facebook, il 31% un account Twitter e solo il 15% uno su Instagram. Eppure Instagram nasce e vive per le immagini e sono veramente infinite le potenzialità di questo canale per avvicinare il pubblico all’arte.
Nel panorama italiano è proprio il canale Instagram degli Uffizi a dare un segnale positivo. Grazie alla sua strategia social, in un solo anno il numero di followers è passato da 304.000 a 522.000. Le Gallerie sono state poi tra i primi musei a sbarcare su TikTok. «Abbiamo una visione democratica del museo:» ha affermato Eike Schmidt, «le nostre collezioni appartengono a tutti, non solo a un’autoproclamata élite culturale, ma soprattutto alle giovani generazioni. Anche perché, se i giovani non stabiliscono oggi una relazione col patrimonio culturale, è improbabile che in futuro, quando saranno loro i nuovi amministratori, vorranno investire in cultura. Per questo motivo è importante usare il loro linguaggio, intercettare la loro ironia e il loro potenziale creativo».
Di Paola Leoni_Client Manager
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